Si parla molto di blockchain, ma forse non a tutti o non del tutto ci è chiara la portata di quella che è stata definita, sicuramente non a torto, come l’internet 2.0, un nuovo modo di intendere la rete e il suo utilizzo.
Al di là del comprensibile scetticismo di una parte e della incondizionata esaltazione di un’altra, non può innanzitutto non tenersi conto di un dato di fatto, e cioè che, per stessa ammissione della Commissione Europea, la blockchain avrà un impatto “massivo” nei prossimi dieci anni, in termini di campi di utilizzo e, di conseguenza, in termini di opportunità lavorative. Nel Digital Day 2018, tenutosi lo scorso 10 aprile, 22 paesi della Unione Europea (tra i quali – va detto – non figura l’Italia) hanno approvato una dichiarazione di intenti per lavorare congiuntamente alla implementazione, realizzazione e disciplina di progetti di digitalizzazione basati sulla tecnologia BC, sia in ambito pubblico che in ambito privato. A dimostrazione della fiducia riposta nella blockchain dai firmatari della dichiarazione, basti leggerne un passo: “E’ una tecnologia che promuove la fiducia degli utenti e rende possibile condividere informazioni, sottoscrivere e registrare transazioni in un modalità verificabile, sicura e immodificabile. E’ una tecnologia testata efficacemente nei servizi finanziari ma diventerà integrata in un numero sempre crescente di servizi digitali, tra cui gli adempimenti formali previsti per legge”. Inoltre l’Unione Europea ha fondato nel febbraio scorso l’Osservatorio Blockchain ed ha già investito circa 80 milioni di euro in progetti specifici e stanzierà ancora 300 milioni di euro entro il 2020, nell’ambito del progetto Horizon.
La direzione della Commissione Ue Digital Market stima che il 10% del Prodotto interno lordo del mondo sarà rappresentato da asset digitali in blockchain in meno di 10 anni; il World Economic Forum stima che entro il 2025 ben il 10% del PIL del mondo sarà prodotto da attività e servizi che saranno erogati e distribuiti attraverso le tecnologie blockchain.

Facciamo ora un passo indietro, cercando di capire e far capire cosa sia la blockchain, pur senza essere degli esperti informatici. Si tratta di un protocollo complesso nel quale funzioni matematiche sostituiscono dati e informazioni. Per inserire un dato nella “catena di blocchi” (blockchain appunto) in modo da certificarlo produco una transazione, agendo come quando ne scrivo materialmente il contenuto: inserisco il mittente, indico il destinatario, il valore, la causale, un numero incrementale e firmo con una chiave privata. Una funzione matematica (chiamata hash) trasforma il mio dato – il mio contenuto – in un pacchetto di certificazione, che certifica il fatto che in un determinato momento ho inserito quello specifico contenuto firmato digitalmente. Questo output firmato da hash viene inserito in un blocco; il miner (si tratta di una persona fisica) produce ad intervalli di tempo regolari (la frequenza dipende dalla singola blockchain) una serie di calcoli finché non trova il nonce, cioè una funzione che come una combinazione chiude il blocco. Il blocco (che di fatto è un registro) viene mandato a tutti gli altri nodi della rete. Il blocco viene validato quando il 50% più 1 dei nodi lo valida. A quel punto il blocco otterrà il suo timestamp (marcatura temporale). La marcatura temporale prova ovviamente che i dati devono essere esistiti in quella determinata data, visto che sono finiti nell’hash. Ogni marcatura temporale comprende quella precedente nel suo hash, formando una vera e propria catena, e ogni marcatura temporale ovviamente rafforza quelle precedenti. Tutti i nodi della rete hanno tutto; nessuno può modificare il contenuto di hash e blocchi se non intervenendo su ogni blocco: non impossibile ma di certo molto molto impegnativo. Tutto rimane comunque tracciato.
Ecco dunque una rete peer-to-peer che utilizza la proof-of-work (che è un algoritmo di consenso) per registrare una storia pubblica delle transazioni, la cui modifica diventa in breve tempo impraticabile – in termini di calcolo matematico – per un utente malintenzionato se i nodi onesti controllano la maggioranza della potenza della CPU.
Otteniamo così l’emissione di certificati di autenticità senza alcun server centralizzato e mediante il c.d. controllo diffuso (ogni nodo detiene il registro e valida le transazioni).

Se quindi la blockchain non è altro che un sistema di certificazione di dati o rapporti alternativo e – a date condizioni – più sicuro di quelli attuali centralizzati (proprio per la molteplicità di nodi sui quali l’eventuale malintenzionato dovrebbe andare ad intervenire, per di più in modo sincronizzato al millesimo), va da sé che identificare la blockchain con le criptovalute è del tutto riduttivo, in quanto queste non rappresentano altro che il primo campo di applicazione di successo di quella che sembra verosimilmente destinata ad essere una lunga serie.
E veniamo dunque ad esaminare le possibili, molteplici applicazioni della blockchain, alcune già in fase di studio avanzato e anche di prima sperimentazione e attuazione.
Assicurazioni: La blockchain può aiutare le assicurazioni in termini di accesso a transazioni sicure e decentralizzate, come base solida per prevenire le frodi, per garantire una maggiore governance, per avere dati e reportistiche migliori. Grazie alla blockchain, inoltre, le assicurazioni possono avere notifiche aggiornate e accurate in relazione ai cambiamenti, e ciò permette loro di migliorare la gestione del rischio e massimizzare le opportunità di capitali e fondi, oltre alla possibilità di adottare strategie di Big Data.
Pagamenti Digitali: Anche in questo ambito ci sono grandi opportunità per la blockchain. Ovviamente ci sono ancora molti problemi che vanno affrontati, come ad esempio il tempo di elaborazione di una transazione, che è ancora molto lento considerando le necessità di un mercato e un mondo che vanno sempre più veloci, e, per altro aspetto, la necessità di formulare indicazioni normative chiare e un’analisi più attenta di minacce e opportunità.
Settore Agroalimentare: Alcune delle possibili caratteristiche applicative della blockchain nel settore agroalimentare sono la piena tracciabilità e trasparenza per chi vuole “raccontare la storia” del proprio cibo, utilizzando la BC per garantire affidabilità, oppure la possibilità di tracciare container e trasporti degli alimenti e del cibo in generale.
Industria 4.0: È possibile sfruttare la logica decentralizzata della blockchain per produrre tecnologie in grado di supportare al meglio la produzione, la logistica e la Supply Chain, così come altre aree chiave dell’azienda. Le catene di approvvigionamento e fornitura sono infatti fondamentalmente una serie di nodi transazionali che permettono di trasferire e spostare i prodotti dalla fabbrica al punto vendita.
IoT: Grazie alla sua facilità di scambio dati la tecnologia blockchain potrebbe essere utilizzata per facilitare la comunicazione tra oggetti IoT connessi, oltre a rendere lo scambio di dati più sicuro e veloce.
Sanità: Le blockchain applicate al settore della sanità permettono a ospedali, contribuenti e altre strutture sanitarie di condividere l’accesso ai loro network senza compromettere la sicurezza e l’integrità dei dati. Gestire i dati medici dei pazienti attraverso un sistema condiviso permetterebbe ai medici di condividere informazioni sui pazienti in maniera sicura e veloce, con la possibilità di avere sotto controllo l’intera storia clinica di un paziente e non una molteplicità di “storie” date dalle cartelle cliniche dei vari reparti o dei vari ospedali, o anche dei diversi medici che seguono il paziente, dal medico di base ai vari specialisti, con conseguente efficientamento delle cure e dei tempi di somministrazione.
Pubblica Amministrazione: La blockchain potrebbe i ad esempio aiutare la Pubblica Amministrazione e i cittadini ad avere una vera identità digitale, condivisa e implementata in questo sistema, con diversi vantaggi tra cui: rendere più difficile l’evasione fiscale, avere un controllo maggiore dei cittadini e quindi combattere la criminalità, servizi semplificati in tutti i settori della Pubblica Amministrazione (invio di dati semplificato), e molto altro.
Archiviazione di dati nel cloud: Le imprese che offrono archiviazione nel cloud spesso immagazzinano i dati dei clienti in un server centralizzato, circostanza che aumenta le vulnerabilità della rete rispetto ai pericoli di attacchi operati dagli hacker. Le soluzioni di cloud storage basate sui registri distribuiti abilitano l’archiviazione decentrata e, quindi, riducono l’esposizione del sistema ad attacchi che possono causare danni sistemici, perdita o diffusione dei dati immagazzinati.
Scuola e Formazione: La tecnologia blockchain potrebbe essere utilizzata per autenticare i titoli e i certificati accademici.
Compravendita immobiliare: La blockchain offre un modo per ridurre la necessità di supporto cartaceo per la registrazione dei dati e porta, dunque, a una velocizzazione delle operazioni legate alla stesura dei contratti, all’identificazione delle controparti e dei dettagli precisi del bene oggetto di compravendita. I database decentralizzati applicati al settore della compravendita immobiliare possono aiutare a registrare, monitorare e trasferire titoli fondiari, atti di proprietà, ipoteche e privilegi, ecc. e contribuiscono ad assicurare che i documenti siano accurati e verificabili.
Gestione delle Risorse Umane: Se i curriculum precedenti sono stati conservati in un registro distribuito, impossibile da falsificare, i professionisti dell’organizzazione vedranno semplificarsi all’improvviso l’iter del processo di selezione e screening/valutazione dei candidati.
Attività di tipo legale e/o giudiziario: I notai potrebbero utilizzarla per attribuire il diritto d’autore e produrre copie conformi all’originale (i notai in realtà hanno già creato la propria blockchain, chiusa e garantita da nodi iscritti all’albo – la Notarchain), le forze dell’ordine per la loro attività di indagine e per documentare denunce ed esposti, gli avvocati e i privati cittadini per raccogliere prove “certificate” dal web.
Fra gli ulteriori ambiti applicativi già allo studio o in corso di prima attuazione possono inoltre annoverarsi la semplificazione dei processi di business, l’automazione dei processi di procurement, la legittimazione del voto elettorale, il leasing e la compravendita di automobili, le analisi finanziarie, scommesse sportive e attività di previsione, il car sharing, la compravendita di azioni, i testamenti ed eredità, la gestione dell’energia, lo sport, le gift card e i programmi di fidelizzazione, e altro ancora.

Come si può vedere, le possibilità e le prospettive sono enormi, ma non bisogna dimenticare che la partita, oltre che internazionale, è interdisciplinare, perché, in aggiunta alla necessità di sviluppare soluzioni tecniche che rispondano a problemi concreti – che indubbiamente non hanno ancora trovato compiuta soluzione -, occorre anche un’importante opera di informazione e sensibilizzazione per coinvolgere istituzioni e associazioni nella definizione di adeguati impianti regolatori.
Non esiste e non è nemmeno possibile pensare infatti ad una blockchain che non preveda ad esempio di disciplinare e risolvere contrattualmente al suo interno i rapporti giuridici che si instaurano e le relative controversie che dovessero insorgere. In questo caso si parla di smart contract. Gli smart contract, o contratti intelligenti, – i cui prodromi possono farsi risalire addirittura alla metà degli anni ’70 in relazione alla necessità di gestire l’attivazione o disattivazione di una licenza software in funzione di alcune condizioni molto semplici – sono pezzi di codice inseriti nella BC che, al verificarsi di certi eventi programmati, producono un certo risultato, nella logica del “if-then”.
Lo smart contract viene programmato per variabili (valori, variabili) e per metodi (azioni che faccio eseguire sui dati). Una transazione verso l’indirizzo dello smart contract lo richiama e lo manda in auto-esecuzione. Ogni nodo della rete lo registra. Il contratto intelligente si può quindi definire come un ragionamento deduttivo di tipo giuridico eseguito in maniera automatica dal software.
Gli smart contract sono però ovviamente programmati da esseri umani. E quindi è lecito chiedersi: cosa succede se il codice in cui viene scritto lo smart contract è sbagliato e perciò non si realizza il “sillogismo” giuridico? O se ad esempio il contratto inserito è illecito? Chi ne risponde, visto che una volta inserito questo “pezzo di codice” nella blockchain, la proprietà dello smart contract passa alla rete?
Una via è certamente appunto quella della multidisciplinarietà e interdisciplinarietà. Il coding per avvocati è una possibilità. Gli avvocati potrebbero appropriarsi del linguaggio di programmazione di smart contract non tanto per diventare programmatori loro stessi ma per coadiuvare lo sviluppatore ed avere maggiore controllo sulla traduzione in codice.
Un’altra questione che merita attenzione e approfondimenti è poi il rapporto fra blockchain e GDPR. Il GDPR nasce per regolare la gestione della privacy legata all’utilizzo dei dati degli utenti su web, app e social media da parte delle web e media company che sulla profilazione degli utenti stanno cercando di costruire il proprio vantaggio competitivo.
Se i dati sono quelli cui abbiamo accennato sopra (10% del PIL mondiale in attività e servizi distribuiti attraverso blockchain entro il 2025), la gestione della Governance in relazione alle normative, prima fra tutte il GDPR, appare di vitale importanza.
Il regolamento GDPR impatta infatti su una serie di ambiti che attengono alle specifiche caratteristiche della blockchain:
1. Accesso e visibilità dei dati – i dati inseriti nelle blockchain sono pubblici e accessibili da chiunque partecipi alla catena
2. Cancellazione dei dati – i dati archiviati in una blockchain sono a prova di manomissione, quindi la loro cancellazione non sarà possibile una volta che tali dati verranno immessi nella catena distribuita;
3. Immutabilità dei dati nel tempo – i dati presenti nelle blockchain sono conservati illimitatamente e non possono essere modificati, manomessi o cancellati.
4. Controllo distribuito dei dati – le blockchain sono distribuite quindi il controllo sui dati non può essere centralizzato ed è in capo a tutti i partecipanti alla blockchain (è difficile cioè individuare le figure di Data Protection Officer previste dal GDPR);
5. Processi decisionali automatizzati – con gli Smart Contract si devono considerare anche processi decisionali automatizzati, cioè una nuova tipologia di gestione dei dati.
Il rapporto tra blockchain e GDPR può aprire a nuove forme di gestione della sicurezza in forma di Privacy by Design (principio di incorporazione della privacy a partire dalla progettazione di un processo aziendale con le relative applicazioni informatiche di supporto), attivando anche in tal caso il bisogno di professionalità trasversali (business process engineer, esperto di sicurezza e privacy, programmatore).
Si profila dunque per il mercato del lavoro l’avvento di nuove professionalità: sicuramente quella del miner, che è già una realtà, ma anche molte altre, fra cui occuperanno un ruolo rilevante se non preponderante le professioni per così dire “trasversali”, che richiedono al lavoratore competenze esperte multidisciplinari, in settori che – forse – ad oggi possono ancora apparire distanti anni luce.

Lo Staff di PME

Si parla molto di blockchain, ma forse non a tutti o non del tutto ci è chiara la portata di quella che è stata definita, sicuramente non a torto, come l’internet 2.0, un nuovo modo di intendere la rete e il suo utilizzo.
Al di là del comprensibile scetticismo di una parte e della incondizionata esaltazione di un’altra, non può innanzitutto non tenersi conto di un dato di fatto, e cioè che, per stessa ammissione della Commissione Europea, la blockchain avrà un impatto “massivo” nei prossimi dieci anni, in termini di campi di utilizzo e, di conseguenza, in termini di opportunità lavorative. Nel Digital Day 2018, tenutosi lo scorso 10 aprile, 22 paesi della Unione Europea (tra i quali – va detto – non figura l’Italia) hanno approvato una dichiarazione di intenti per lavorare congiuntamente alla implementazione, realizzazione e disciplina di progetti di digitalizzazione basati sulla tecnologia BC, sia in ambito pubblico che in ambito privato. A dimostrazione della fiducia riposta nella blockchain dai firmatari della dichiarazione, basti leggerne un passo: “E’ una tecnologia che promuove la fiducia degli utenti e rende possibile condividere informazioni, sottoscrivere e registrare transazioni in un modalità verificabile, sicura e immodificabile. E’ una tecnologia testata efficacemente nei servizi finanziari ma diventerà integrata in un numero sempre crescente di servizi digitali, tra cui gli adempimenti formali previsti per legge”. Inoltre l’Unione Europea ha fondato nel febbraio scorso l’Osservatorio Blockchain ed ha già investito circa 80 milioni di euro in progetti specifici e stanzierà ancora 300 milioni di euro entro il 2020, nell’ambito del progetto Horizon.
La direzione della Commissione Ue Digital Market stima che il 10% del Prodotto interno lordo del mondo sarà rappresentato da asset digitali in blockchain in meno di 10 anni; il World Economic Forum stima che entro il 2025 ben il 10% del PIL del mondo sarà prodotto da attività e servizi che saranno erogati e distribuiti attraverso le tecnologie blockchain.

Facciamo ora un passo indietro, cercando di capire e far capire cosa sia la blockchain, pur senza essere degli esperti informatici. Si tratta di un protocollo complesso nel quale funzioni matematiche sostituiscono dati e informazioni. Per inserire un dato nella “catena di blocchi” (blockchain appunto) in modo da certificarlo produco una transazione, agendo come quando ne scrivo materialmente il contenuto: inserisco il mittente, indico il destinatario, il valore, la causale, un numero incrementale e firmo con una chiave privata. Una funzione matematica (chiamata hash) trasforma il mio dato – il mio contenuto – in un pacchetto di certificazione, che certifica il fatto che in un determinato momento ho inserito quello specifico contenuto firmato digitalmente. Questo output firmato da hash viene inserito in un blocco; il miner (si tratta di una persona fisica) produce ad intervalli di tempo regolari (la frequenza dipende dalla singola blockchain) una serie di calcoli finché non trova il nonce, cioè una funzione che come una combinazione chiude il blocco. Il blocco (che di fatto è un registro) viene mandato a tutti gli altri nodi della rete. Il blocco viene validato quando il 50% più 1 dei nodi lo valida. A quel punto il blocco otterrà il suo timestamp (marcatura temporale). La marcatura temporale prova ovviamente che i dati devono essere esistiti in quella determinata data, visto che sono finiti nell’hash. Ogni marcatura temporale comprende quella precedente nel suo hash, formando una vera e propria catena, e ogni marcatura temporale ovviamente rafforza quelle precedenti. Tutti i nodi della rete hanno tutto; nessuno può modificare il contenuto di hash e blocchi se non intervenendo su ogni blocco: non impossibile ma di certo molto molto impegnativo. Tutto rimane comunque tracciato.
Ecco dunque una rete peer-to-peer che utilizza la proof-of-work (che è un algoritmo di consenso) per registrare una storia pubblica delle transazioni, la cui modifica diventa in breve tempo impraticabile – in termini di calcolo matematico – per un utente malintenzionato se i nodi onesti controllano la maggioranza della potenza della CPU.
Otteniamo così l’emissione di certificati di autenticità senza alcun server centralizzato e mediante il c.d. controllo diffuso (ogni nodo detiene il registro e valida le transazioni).

Se quindi la blockchain non è altro che un sistema di certificazione di dati o rapporti alternativo e – a date condizioni – più sicuro di quelli attuali centralizzati (proprio per la molteplicità di nodi sui quali l’eventuale malintenzionato dovrebbe andare ad intervenire, per di più in modo sincronizzato al millesimo), va da sé che identificare la blockchain con le criptovalute è del tutto riduttivo, in quanto queste non rappresentano altro che il primo campo di applicazione di successo di quella che sembra verosimilmente destinata ad essere una lunga serie.
E veniamo dunque ad esaminare le possibili, molteplici applicazioni della blockchain, alcune già in fase di studio avanzato e anche di prima sperimentazione e attuazione.
Assicurazioni: La blockchain può aiutare le assicurazioni in termini di accesso a transazioni sicure e decentralizzate, come base solida per prevenire le frodi, per garantire una maggiore governance, per avere dati e reportistiche migliori. Grazie alla blockchain, inoltre, le assicurazioni possono avere notifiche aggiornate e accurate in relazione ai cambiamenti, e ciò permette loro di migliorare la gestione del rischio e massimizzare le opportunità di capitali e fondi, oltre alla possibilità di adottare strategie di Big Data.
Pagamenti Digitali: Anche in questo ambito ci sono grandi opportunità per la blockchain. Ovviamente ci sono ancora molti problemi che vanno affrontati, come ad esempio il tempo di elaborazione di una transazione, che è ancora molto lento considerando le necessità di un mercato e un mondo che vanno sempre più veloci, e, per altro aspetto, la necessità di formulare indicazioni normative chiare e un’analisi più attenta di minacce e opportunità.
Settore Agroalimentare: Alcune delle possibili caratteristiche applicative della blockchain nel settore agroalimentare sono la piena tracciabilità e trasparenza per chi vuole “raccontare la storia” del proprio cibo, utilizzando la BC per garantire affidabilità, oppure la possibilità di tracciare container e trasporti degli alimenti e del cibo in generale.
Industria 4.0: È possibile sfruttare la logica decentralizzata della blockchain per produrre tecnologie in grado di supportare al meglio la produzione, la logistica e la Supply Chain, così come altre aree chiave dell’azienda. Le catene di approvvigionamento e fornitura sono infatti fondamentalmente una serie di nodi transazionali che permettono di trasferire e spostare i prodotti dalla fabbrica al punto vendita.
IoT: Grazie alla sua facilità di scambio dati la tecnologia blockchain potrebbe essere utilizzata per facilitare la comunicazione tra oggetti IoT connessi, oltre a rendere lo scambio di dati più sicuro e veloce.
Sanità: Le blockchain applicate al settore della sanità permettono a ospedali, contribuenti e altre strutture sanitarie di condividere l’accesso ai loro network senza compromettere la sicurezza e l’integrità dei dati. Gestire i dati medici dei pazienti attraverso un sistema condiviso permetterebbe ai medici di condividere informazioni sui pazienti in maniera sicura e veloce, con la possibilità di avere sotto controllo l’intera storia clinica di un paziente e non una molteplicità di “storie” date dalle cartelle cliniche dei vari reparti o dei vari ospedali, o anche dei diversi medici che seguono il paziente, dal medico di base ai vari specialisti, con conseguente efficientamento delle cure e dei tempi di somministrazione.
Pubblica Amministrazione: La blockchain potrebbe i ad esempio aiutare la Pubblica Amministrazione e i cittadini ad avere una vera identità digitale, condivisa e implementata in questo sistema, con diversi vantaggi tra cui: rendere più difficile l’evasione fiscale, avere un controllo maggiore dei cittadini e quindi combattere la criminalità, servizi semplificati in tutti i settori della Pubblica Amministrazione (invio di dati semplificato), e molto altro.
Archiviazione di dati nel cloud: Le imprese che offrono archiviazione nel cloud spesso immagazzinano i dati dei clienti in un server centralizzato, circostanza che aumenta le vulnerabilità della rete rispetto ai pericoli di attacchi operati dagli hacker. Le soluzioni di cloud storage basate sui registri distribuiti abilitano l’archiviazione decentrata e, quindi, riducono l’esposizione del sistema ad attacchi che possono causare danni sistemici, perdita o diffusione dei dati immagazzinati.
Scuola e Formazione: La tecnologia blockchain potrebbe essere utilizzata per autenticare i titoli e i certificati accademici.
Compravendita immobiliare: La blockchain offre un modo per ridurre la necessità di supporto cartaceo per la registrazione dei dati e porta, dunque, a una velocizzazione delle operazioni legate alla stesura dei contratti, all’identificazione delle controparti e dei dettagli precisi del bene oggetto di compravendita. I database decentralizzati applicati al settore della compravendita immobiliare possono aiutare a registrare, monitorare e trasferire titoli fondiari, atti di proprietà, ipoteche e privilegi, ecc. e contribuiscono ad assicurare che i documenti siano accurati e verificabili.
Gestione delle Risorse Umane: Se i curriculum precedenti sono stati conservati in un registro distribuito, impossibile da falsificare, i professionisti dell’organizzazione vedranno semplificarsi all’improvviso l’iter del processo di selezione e screening/valutazione dei candidati.
Attività di tipo legale e/o giudiziario: I notai potrebbero utilizzarla per attribuire il diritto d’autore e produrre copie conformi all’originale (i notai in realtà hanno già creato la propria blockchain, chiusa e garantita da nodi iscritti all’albo – la Notarchain), le forze dell’ordine per la loro attività di indagine e per documentare denunce ed esposti, gli avvocati e i privati cittadini per raccogliere prove “certificate” dal web.
Fra gli ulteriori ambiti applicativi già allo studio o in corso di prima attuazione possono inoltre annoverarsi la semplificazione dei processi di business, l’automazione dei processi di procurement, la legittimazione del voto elettorale, il leasing e la compravendita di automobili, le analisi finanziarie, scommesse sportive e attività di previsione, il car sharing, la compravendita di azioni, i testamenti ed eredità, la gestione dell’energia, lo sport, le gift card e i programmi di fidelizzazione, e altro ancora.

Come si può vedere, le possibilità e le prospettive sono enormi, ma non bisogna dimenticare che la partita, oltre che internazionale, è interdisciplinare, perché, in aggiunta alla necessità di sviluppare soluzioni tecniche che rispondano a problemi concreti – che indubbiamente non hanno ancora trovato compiuta soluzione -, occorre anche un’importante opera di informazione e sensibilizzazione per coinvolgere istituzioni e associazioni nella definizione di adeguati impianti regolatori.
Non esiste e non è nemmeno possibile pensare infatti ad una blockchain che non preveda ad esempio di disciplinare e risolvere contrattualmente al suo interno i rapporti giuridici che si instaurano e le relative controversie che dovessero insorgere. In questo caso si parla di smart contract. Gli smart contract, o contratti intelligenti, – i cui prodromi possono farsi risalire addirittura alla metà degli anni ’70 in relazione alla necessità di gestire l’attivazione o disattivazione di una licenza software in funzione di alcune condizioni molto semplici – sono pezzi di codice inseriti nella BC che, al verificarsi di certi eventi programmati, producono un certo risultato, nella logica del “if-then”.
Lo smart contract viene programmato per variabili (valori, variabili) e per metodi (azioni che faccio eseguire sui dati). Una transazione verso l’indirizzo dello smart contract lo richiama e lo manda in auto-esecuzione. Ogni nodo della rete lo registra. Il contratto intelligente si può quindi definire come un ragionamento deduttivo di tipo giuridico eseguito in maniera automatica dal software.
Gli smart contract sono però ovviamente programmati da esseri umani. E quindi è lecito chiedersi: cosa succede se il codice in cui viene scritto lo smart contract è sbagliato e perciò non si realizza il “sillogismo” giuridico? O se ad esempio il contratto inserito è illecito? Chi ne risponde, visto che una volta inserito questo “pezzo di codice” nella blockchain, la proprietà dello smart contract passa alla rete?
Una via è certamente appunto quella della multidisciplinarietà e interdisciplinarietà. Il coding per avvocati è una possibilità. Gli avvocati potrebbero appropriarsi del linguaggio di programmazione di smart contract non tanto per diventare programmatori loro stessi ma per coadiuvare lo sviluppatore ed avere maggiore controllo sulla traduzione in codice.
Un’altra questione che merita attenzione e approfondimenti è poi il rapporto fra blockchain e GDPR. Il GDPR nasce per regolare la gestione della privacy legata all’utilizzo dei dati degli utenti su web, app e social media da parte delle web e media company che sulla profilazione degli utenti stanno cercando di costruire il proprio vantaggio competitivo.
Se i dati sono quelli cui abbiamo accennato sopra (10% del PIL mondiale in attività e servizi distribuiti attraverso blockchain entro il 2025), la gestione della Governance in relazione alle normative, prima fra tutte il GDPR, appare di vitale importanza.
Il regolamento GDPR impatta infatti su una serie di ambiti che attengono alle specifiche caratteristiche della blockchain:
1. Accesso e visibilità dei dati – i dati inseriti nelle blockchain sono pubblici e accessibili da chiunque partecipi alla catena
2. Cancellazione dei dati – i dati archiviati in una blockchain sono a prova di manomissione, quindi la loro cancellazione non sarà possibile una volta che tali dati verranno immessi nella catena distribuita;
3. Immutabilità dei dati nel tempo – i dati presenti nelle blockchain sono conservati illimitatamente e non possono essere modificati, manomessi o cancellati.
4. Controllo distribuito dei dati – le blockchain sono distribuite quindi il controllo sui dati non può essere centralizzato ed è in capo a tutti i partecipanti alla blockchain (è difficile cioè individuare le figure di Data Protection Officer previste dal GDPR);
5. Processi decisionali automatizzati – con gli Smart Contract si devono considerare anche processi decisionali automatizzati, cioè una nuova tipologia di gestione dei dati.
Il rapporto tra blockchain e GDPR può aprire a nuove forme di gestione della sicurezza in forma di Privacy by Design (principio di incorporazione della privacy a partire dalla progettazione di un processo aziendale con le relative applicazioni informatiche di supporto), attivando anche in tal caso il bisogno di professionalità trasversali (business process engineer, esperto di sicurezza e privacy, programmatore).
Si profila dunque per il mercato del lavoro l’avvento di nuove professionalità: sicuramente quella del miner, che è già una realtà, ma anche molte altre, fra cui occuperanno un ruolo rilevante se non preponderante le professioni per così dire “trasversali”, che richiedono al lavoratore competenze esperte multidisciplinari, in settori che – forse – ad oggi possono ancora apparire distanti anni luce.

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