Perché un’azienda dovrebbe ricorrere ad un consulente per la gestione dei progetti? Non è forse più sensato investire nelle risorse interne? A nostro giudizio una scelta non esclude l’altra, ma certo è che il ricorso ad un consulente esterno offre molti benefici, fra i quali anche quello della formazione reale e di valore delle risorse aziendali. Questi i principali motivi che rendono a nostro giudizio vincente l’opzione consulenziale:
1. Acceleratore di risultato. Come ormai da più parti si sostiene a gran voce, quella del Project Manager è una professione vera e propria, frutto di studi ed esperienza specifici, che quindi non si improvvisa. Per formare e far crescere le risorse interne di un’azienda in questo ambito ci vuole tempo e “progettualità”. Il ricorso ad un consulente (o ad una società di consulenza) consente perciò di raggiungere più velocemente risultati importanti, costituendo al tempo stesso uno stimolo e un volano per la crescita professionale del personale interno in una prospettiva di medio-lungo termine.
2. Gestione e/o Monitoraggio imparziale. Indipendentemente dalla presenza di personale interno con esperienza sufficiente, il ricorso (anche) ad un consulente esterno fornisce un punto di vista maggiormente obiettivo (perché meno coinvolto nelle dinamiche aziendali interne) sui rischi di progetto e sul suo andamento e garantisce una verifica imparziale e per questo più efficace.
3. On demand & Pay per Use. Se partiamo dal presupposto (già enunciato al punto 1) che il lavoro del Project Manager è una professione full time, che non va svolta come ruolo aggiuntivo rispetto ad un incarico “principale”, è da mettere in conto che le aziende non vogliano assumere personale specializzato in Project Management a tempo pieno. Questo anche in considerazione del fatto che ad oggi sono ancora molte le imprese che non hanno un’organizzazione per progetti e che gestiscono come progetto solo parte delle proprie attività e obiettivi anche strategici. Il consulente esterno permette di venire incontro a questa esigenza di flessibilità.
4. Know-how & Expertise. Proprio in conseguenza del fatto che nel corso del tempo svolge la sua professione in realtà diverse per contesto, dimensione, settore, complessità, collocazione territoriale e, perché no, background culturale, il consulente porta senza dubbio alle diverse aziende con cui collabora un bagaglio di competenze, know-how, esperienza ed innovazione nella gestione di programmi e progetti complessi che difficilmente una risorsa interna può acquisire.
5. Savings. Oltre al risparmio che deriva da quanto evidenziato al punto 3, bisogna anche considerare che il Project Manager certificato, sia esso PMP (con obbligo di conseguimento di 60 Professional Development Units ogni 3 anni), che PRINCE2 (tenuto conto delle nuove indicazioni di Axelos sul Continuing Professional Development e sul Membership Programme), o anche Scrum (tutte le certificazioni SCRUMStudy prevedono la necessità di conseguire un certo numero – da 25 a 60 a seconda del tipo di certificazione – di Re-Certification Units ogni tre anni) ha un obbligo di aggiornamento professionale, i cui costi – soprattutto in termini di tempo dedicato – sono interamente a suo carico. Le aziende quindi, ricorrendo a consulenti esterni, risparmiano costi non indifferenti.
6. Formazione integrata. Il Consulente di Project Management svolge poi un ruolo fondamentale nella formazione delle risorse aziendali riguardo alla messa in pratica dei processi di PM nei progetti concretamente gestiti. L’attività di coaching e tutoring da parte di colleghi interni è infatti spesso mal tollerata e può più facilmente ingenerare dinamiche conflittuali legate alla messa in discussione (non importa quanto fondata) delle capacità, dell’esperienza, dell’autorità della persona designata. La posizione di terzietà del consulente elimina, o comunque riduce sensibilmente, la competizione fra coach e coachee, il quale ultimo difficilmente sarà tentato di contestarne aprioristicamente il valore. PME ha sviluppato a questo proposito il modello VAL&C, un’offerta di consulenza e formazione integrate, che rilascia valore al cliente anche dopo il termine dell’intervento consulenziale.
Come si è già detto all’inizio, la scelta di ricorrere a consulenti esterni non esclude quella di investire nelle risorse interne di un’organizzazione e non rappresenta la soluzione “giusta” in termini assoluti. Non c’è dubbio infatti che se una azienda gestisce progetti propri su base continuativa l’implementazione di un PMO interno rimane la soluzione preferibile (e ne parleremo in un prossimo articolo …).

Lo Staff di PME

Perché un’azienda dovrebbe ricorrere ad un consulente per la gestione dei progetti? Non è forse più sensato investire nelle risorse interne? A nostro giudizio una scelta non esclude l’altra, ma certo è che il ricorso ad un consulente esterno offre molti benefici, fra i quali anche quello della formazione reale e di valore delle risorse aziendali. Questi i principali motivi che rendono a nostro giudizio vincente l’opzione consulenziale:
1. Acceleratore di risultato. Come ormai da più parti si sostiene a gran voce, quella del Project Manager è una professione vera e propria, frutto di studi ed esperienza specifici, che quindi non si improvvisa. Per formare e far crescere le risorse interne di un’azienda in questo ambito ci vuole tempo e “progettualità”. Il ricorso ad un consulente (o ad una società di consulenza) consente perciò di raggiungere più velocemente risultati importanti, costituendo al tempo stesso uno stimolo e un volano per la crescita professionale del personale interno in una prospettiva di medio-lungo termine.
2. Gestione e/o Monitoraggio imparziale. Indipendentemente dalla presenza di personale interno con esperienza sufficiente, il ricorso (anche) ad un consulente esterno fornisce un punto di vista maggiormente obiettivo (perché meno coinvolto nelle dinamiche aziendali interne) sui rischi di progetto e sul suo andamento e garantisce una verifica imparziale e per questo più efficace.
3. On demand & Pay per Use. Se partiamo dal presupposto (già enunciato al punto 1) che il lavoro del Project Manager è una professione full time, che non va svolta come ruolo aggiuntivo rispetto ad un incarico “principale”, è da mettere in conto che le aziende non vogliano assumere personale specializzato in Project Management a tempo pieno. Questo anche in considerazione del fatto che ad oggi sono ancora molte le imprese che non hanno un’organizzazione per progetti e che gestiscono come progetto solo parte delle proprie attività e obiettivi anche strategici. Il consulente esterno permette di venire incontro a questa esigenza di flessibilità.
4. Know-how & Expertise. Proprio in conseguenza del fatto che nel corso del tempo svolge la sua professione in realtà diverse per contesto, dimensione, settore, complessità, collocazione territoriale e, perché no, background culturale, il consulente porta senza dubbio alle diverse aziende con cui collabora un bagaglio di competenze, know-how, esperienza ed innovazione nella gestione di programmi e progetti complessi che difficilmente una risorsa interna può acquisire.
5. Savings. Oltre al risparmio che deriva da quanto evidenziato al punto 3, bisogna anche considerare che il Project Manager certificato, sia esso PMP (con obbligo di conseguimento di 60 Professional Development Units ogni 3 anni), che PRINCE2 (tenuto conto delle nuove indicazioni di Axelos sul Continuing Professional Development e sul Membership Programme), o anche Scrum (tutte le certificazioni SCRUMStudy prevedono la necessità di conseguire un certo numero – da 25 a 60 a seconda del tipo di certificazione – di Re-Certification Units ogni tre anni) ha un obbligo di aggiornamento professionale, i cui costi – soprattutto in termini di tempo dedicato – sono interamente a suo carico. Le aziende quindi, ricorrendo a consulenti esterni, risparmiano costi non indifferenti.
6. Formazione integrata. Il Consulente di Project Management svolge poi un ruolo fondamentale nella formazione delle risorse aziendali riguardo alla messa in pratica dei processi di PM nei progetti concretamente gestiti. L’attività di coaching e tutoring da parte di colleghi interni è infatti spesso mal tollerata e può più facilmente ingenerare dinamiche conflittuali legate alla messa in discussione (non importa quanto fondata) delle capacità, dell’esperienza, dell’autorità della persona designata. La posizione di terzietà del consulente elimina, o comunque riduce sensibilmente, la competizione fra coach e coachee, il quale ultimo difficilmente sarà tentato di contestarne aprioristicamente il valore. PME ha sviluppato a questo proposito il modello VAL&C, un’offerta di consulenza e formazione integrate, che rilascia valore al cliente anche dopo il termine dell’intervento consulenziale.
Come si è già detto all’inizio, la scelta di ricorrere a consulenti esterni non esclude quella di investire nelle risorse interne di un’organizzazione e non rappresenta la soluzione “giusta” in termini assoluti. Non c’è dubbio infatti che se una azienda gestisce progetti propri su base continuativa l’implementazione di un PMO interno rimane la soluzione preferibile (e ne parleremo in un prossimo articolo …).

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