Nel 2017 ASFOR – Associazione Italiana per la Formazione Manageriale e CFMT Centro di Formazione Management del Terziario hanno avviato l’indagine ‘Osservatorio Managerial Learning – Come Cambia la Formazione per i Manager’(1), finalizzata a fotografare la situazione della formazione dei manager nelle imprese italiane e a individuarne i possibili sviluppi per il futuro. Si tratta di una ricerca rigorosa e approfondita, eseguita integrando metodi qualitativi e quantitativi, che ha coinvolto un campione di 100 aziende di grandi e medio-grandi dimensioni appartenenti al settore industriale, tecnologico e del terziario (per un totale di 1.344.468 dipendenti), suddivise per numero di dipendenti complessivi, con la costituzione di 6 focus group (di cui ben due nella città di Milano, 1 a Torino, 1 a Padova, 1 a Bologna e 1 a Roma), interviste individuali ai responsabili delle HR o della Formazione e Sviluppo di grandi aziende e la somministrazione di ben 100 questionari.
Volendo partire dalle conclusioni, possiamo dire prima di tutto che la formazione dei manager e degli alti potenziali continua ad essere una necessità e un’opportunità per imprese e manager e che, nella percezione degli intervistati, nel futuro sarà più importante che nel passato (66% del campione), o continuerà ad essere importante come lo è stata finora (25%). Solo l’1% del campione ritiene invece che in futuro la formazione sarà meno importante che nel passato, mentre l’8% non sa rispondere. Inoltre per ben i due terzi del campione la formazione manageriale ricopre un ruolo chiave a supporto delle strategie aziendali.
Venendo ai principali temi di interesse per la formazione manageriale attuale e del prossimo futuro, l’85% dei rispondenti ha riconosciuto la forte rilevanza dello sviluppo di nuovi stili e profili di ladership per competere con successo sul mercato. Subito alle spalle, fra i contenuti che risultano di maggior rilievo troviamo il tema dell’innovazione e dell’approccio strutturato al cambiamento (81% dei consensi); a seguire la gestione e valorizzazione dei collaboratori (78%); le competenze manageriali di base (66%); l’interazione del cliente con l’azienda (59%). Solo il 41% considera invece il tema del mindset e delle competenze digitali un contenuto di rilevanza prioritaria, benché questo sia uno dei temi di cui si parla di più negli ultimi anni; ciò si ritiene dovuto al fatto che la trasformazione digitale e i cambiamenti che ne deriveranno non hanno ancora generato una consapevolezza chiara delle competenze necessarie. Andando al dettaglio, riguardo allo sviluppo del digitale, è il settore terziario a indicarlo tra le priorità strategiche per il prossimo triennio, insieme al miglioramento della customer experience e all’innovazione; mentre il settore industriale punta maggiormente sui temi del cambiamento organizzativo gestionale e culturale e sull’internazionalizzazione. Se si vanno poi ad esaminare le risposte in base alle dimensioni aziendali e al numero di dipendenti, emerge che maggiori sono le dimensioni delle aziende più alta è la priorità strategica assegnata a temi come la trasformazione digitale.
Riguardo alle metodologie di formazione dei manager e degli alti potenziali, dall’indagine emerge la grande rilevanza tuttora assegnata alle attività tradizionali (aula, workshop), mentre riscuotono minore consenso soluzioni come l’e-learning ‘puro’ o ‘blended’.
Il consenso relativamente scarso raccolto dall’e-learning e dal digital learning, se da un lato è legato inevitabilmente all’età anagrafica di molta parte di coloro che ricoprono alte responsabilità all’interno delle aziende (che li rende sicuramente meno propensi verso le nuove metodologie e tecnologie di apprendimento), dall’altro è anche frutto della percezione di questo tipo di formazione come un’attività limitata e supportata da una tecnologia insufficiente e poco abile nel generare un’esperienza di apprendimento soddisfacente. Il problema non è quindi tanto nel metodo in sé, ma nelle modalità con le quali ad oggi viene proposto e negli strumenti che utilizza, molto al di sotto del suo potenziale e delle aspettative che le tante parole spese in questo campo hanno generato.
È però un dato certo che nei prossimi anni l’evoluzione delle metodologie dovrà necessariamente andare nella direzione dello sviluppo tecnologico, tenuto conto del vincolo fondamentale costituito dal tempo, risorsa sempre più scarsa e preziosa. Con questo vincolo dovranno conciliarsi altri vincoli altrettanto fondamentali ma di segno teoricamente opposto: il livello di aspettativa sempre più elevato connesso ai risultati conseguibili con la formazione e la qualità della learning experience, che ci si attende più significativa rispetto alle esigenze del business e più capace di valorizzare le esperienze possedute. E, non ultimo, l’esigenza fortemente sentita della differenziazione, dell’uscita cioè da contenuti e soluzioni un po’ sempre uguali a se stessi: da qui il crescente apprezzamento per programmi individuali di coaching e di mentoring da parte dei manager e degli alti potenziali.
Tutto questo si riflette sulle principali aree di miglioramento individuate riguardo al processo formativo: innovatività e qualità dell’offerta (75%); capacità di co-design (61%); capacità di progettare/erogare sfruttando la tecnologia e con soluzioni a distanza/blended (55%). Seguono coerenza dei contenuti e delle soluzioni rispetto agli obiettivi (54,44%) e capacità di comprendere le esigenze del committente (50%).
Dall’indagine emerge poi che riguardo alla formazione manageriale le imprese sono impegnate o progettano di impegnarsi su cinque fronti: migliorare il coinvolgimento e il co-design con il management (67%); migliorare la qualità e la robustezza del processo di analisi dei bisogni (43%); sfruttare al meglio tutte le fonti di finanziamento (40%); accrescere le quote di formazione ‘on demand’ e l’iniziativa individuale verso il proprio piano di sviluppo (52%); implementare soluzioni di blended e-learning attraverso l’impiego di piattaforme tecnologiche (48%).
I primi tre sono in continuità con il passato, mentre gli ultimi due sono il sintomo di un processo di cambiamento in atto e segnano in un certo senso la direzione che sta prendendo o prenderà la formazione manageriale nei prossimi anni. E, come si può vedere, richiamano l’attenzione sul tema di quel digital learning ancora percepito come poco attrattivo, ma in prospettiva riconosciuto come condizione abilitante ineludibile.
Cosa si richiede dunque alla formazione manageriale e degli alti profili per gli anni a venire:
• saper coniugare efficacia/risultati, vincoli di tempo e risorse e qualità percepita della learning experience;
• sfruttare la tecnologia digitale, modificando a tal fine la cultura organizzativa e metodologica per generare learning experience significative;
• rendere i destinatari della formazione sempre più protagonisti e responsabili del proprio piano di sviluppo (basic manageriali aggiornati, on-demand, soluzioni blended, programmi di coaching personalizzato);
• orientarsi sempre più verso modelli e soluzioni formative di tipo ‘euristico’, o esplorativo, adatti a comprendere il cambiamento, risolvere problemi, innovare.
Da ultimo, un dato particolarmente interessante – anche per quanto ci riguarda in prima persona – emerge dal grado di soddisfazione verso i fornitori di formazione: al primo posto, con il 67% dei consensi, troviamo le società di consulenza, seguite dai liberi professionisti (63%). Molto più distaccati si posizionano poi i Centri di Formazione, seguiti dalle Business School Italiane, dalle Università Italiane e da altre realtà di formazione. Questo dato, a nostro giudizio, è particolarmente significativo e rispecchia il grande potenziale che le società che coniugano i servizi di formazione a quelli di consulenza possono esprimere in ambito formativo, sotto tutti i profili di interesse e di miglioramento evidenziati nella ricerca: predisposizione all’analisi dei bisogni del committente, capacità e mezzi per intervenire sulla cultura organizzativa del cliente, capacità di sviluppare progetti e soluzioni personalizzate di formazione proprio in virtù della conoscenza privilegiata derivante dal rapporto consulenziale, capacità di implementare soluzioni tecnologiche e a distanza coniugate ad attività di coaching mirate, grazie alla integrazione con l’attività di consulenza.

Lo Staff di PME

Nel 2017 ASFOR – Associazione Italiana per la Formazione Manageriale e CFMT Centro di Formazione Management del Terziario hanno avviato l’indagine ‘Osservatorio Managerial Learning – Come Cambia la Formazione per i Manager’(1), finalizzata a fotografare la situazione della formazione dei manager nelle imprese italiane e a individuarne i possibili sviluppi per il futuro. Si tratta di una ricerca rigorosa e approfondita, eseguita integrando metodi qualitativi e quantitativi, che ha coinvolto un campione di 100 aziende di grandi e medio-grandi dimensioni appartenenti al settore industriale, tecnologico e del terziario (per un totale di 1.344.468 dipendenti), suddivise per numero di dipendenti complessivi, con la costituzione di 6 focus group (di cui ben due nella città di Milano, 1 a Torino, 1 a Padova, 1 a Bologna e 1 a Roma), interviste individuali ai responsabili delle HR o della Formazione e Sviluppo di grandi aziende e la somministrazione di ben 100 questionari.
Volendo partire dalle conclusioni, possiamo dire prima di tutto che la formazione dei manager e degli alti potenziali continua ad essere una necessità e un’opportunità per imprese e manager e che, nella percezione degli intervistati, nel futuro sarà più importante che nel passato (66% del campione), o continuerà ad essere importante come lo è stata finora (25%). Solo l’1% del campione ritiene invece che in futuro la formazione sarà meno importante che nel passato, mentre l’8% non sa rispondere. Inoltre per ben i due terzi del campione la formazione manageriale ricopre un ruolo chiave a supporto delle strategie aziendali.
Venendo ai principali temi di interesse per la formazione manageriale attuale e del prossimo futuro, l’85% dei rispondenti ha riconosciuto la forte rilevanza dello sviluppo di nuovi stili e profili di ladership per competere con successo sul mercato. Subito alle spalle, fra i contenuti che risultano di maggior rilievo troviamo il tema dell’innovazione e dell’approccio strutturato al cambiamento (81% dei consensi); a seguire la gestione e valorizzazione dei collaboratori (78%); le competenze manageriali di base (66%); l’interazione del cliente con l’azienda (59%). Solo il 41% considera invece il tema del mindset e delle competenze digitali un contenuto di rilevanza prioritaria, benché questo sia uno dei temi di cui si parla di più negli ultimi anni; ciò si ritiene dovuto al fatto che la trasformazione digitale e i cambiamenti che ne deriveranno non hanno ancora generato una consapevolezza chiara delle competenze necessarie. Andando al dettaglio, riguardo allo sviluppo del digitale, è il settore terziario a indicarlo tra le priorità strategiche per il prossimo triennio, insieme al miglioramento della customer experience e all’innovazione; mentre il settore industriale punta maggiormente sui temi del cambiamento organizzativo gestionale e culturale e sull’internazionalizzazione. Se si vanno poi ad esaminare le risposte in base alle dimensioni aziendali e al numero di dipendenti, emerge che maggiori sono le dimensioni delle aziende più alta è la priorità strategica assegnata a temi come la trasformazione digitale.
Riguardo alle metodologie di formazione dei manager e degli alti potenziali, dall’indagine emerge la grande rilevanza tuttora assegnata alle attività tradizionali (aula, workshop), mentre riscuotono minore consenso soluzioni come l’e-learning ‘puro’ o ‘blended’.
Il consenso relativamente scarso raccolto dall’e-learning e dal digital learning, se da un lato è legato inevitabilmente all’età anagrafica di molta parte di coloro che ricoprono alte responsabilità all’interno delle aziende (che li rende sicuramente meno propensi verso le nuove metodologie e tecnologie di apprendimento), dall’altro è anche frutto della percezione di questo tipo di formazione come un’attività limitata e supportata da una tecnologia insufficiente e poco abile nel generare un’esperienza di apprendimento soddisfacente. Il problema non è quindi tanto nel metodo in sé, ma nelle modalità con le quali ad oggi viene proposto e negli strumenti che utilizza, molto al di sotto del suo potenziale e delle aspettative che le tante parole spese in questo campo hanno generato.
È però un dato certo che nei prossimi anni l’evoluzione delle metodologie dovrà necessariamente andare nella direzione dello sviluppo tecnologico, tenuto conto del vincolo fondamentale costituito dal tempo, risorsa sempre più scarsa e preziosa. Con questo vincolo dovranno conciliarsi altri vincoli altrettanto fondamentali ma di segno teoricamente opposto: il livello di aspettativa sempre più elevato connesso ai risultati conseguibili con la formazione e la qualità della learning experience, che ci si attende più significativa rispetto alle esigenze del business e più capace di valorizzare le esperienze possedute. E, non ultimo, l’esigenza fortemente sentita della differenziazione, dell’uscita cioè da contenuti e soluzioni un po’ sempre uguali a se stessi: da qui il crescente apprezzamento per programmi individuali di coaching e di mentoring da parte dei manager e degli alti potenziali.
Tutto questo si riflette sulle principali aree di miglioramento individuate riguardo al processo formativo: innovatività e qualità dell’offerta (75%); capacità di co-design (61%); capacità di progettare/erogare sfruttando la tecnologia e con soluzioni a distanza/blended (55%). Seguono coerenza dei contenuti e delle soluzioni rispetto agli obiettivi (54,44%) e capacità di comprendere le esigenze del committente (50%).
Dall’indagine emerge poi che riguardo alla formazione manageriale le imprese sono impegnate o progettano di impegnarsi su cinque fronti: migliorare il coinvolgimento e il co-design con il management (67%); migliorare la qualità e la robustezza del processo di analisi dei bisogni (43%); sfruttare al meglio tutte le fonti di finanziamento (40%); accrescere le quote di formazione ‘on demand’ e l’iniziativa individuale verso il proprio piano di sviluppo (52%); implementare soluzioni di blended e-learning attraverso l’impiego di piattaforme tecnologiche (48%).
I primi tre sono in continuità con il passato, mentre gli ultimi due sono il sintomo di un processo di cambiamento in atto e segnano in un certo senso la direzione che sta prendendo o prenderà la formazione manageriale nei prossimi anni. E, come si può vedere, richiamano l’attenzione sul tema di quel digital learning ancora percepito come poco attrattivo, ma in prospettiva riconosciuto come condizione abilitante ineludibile.
Cosa si richiede dunque alla formazione manageriale e degli alti profili per gli anni a venire:
• saper coniugare efficacia/risultati, vincoli di tempo e risorse e qualità percepita della learning experience;
• sfruttare la tecnologia digitale, modificando a tal fine la cultura organizzativa e metodologica per generare learning experience significative;
• rendere i destinatari della formazione sempre più protagonisti e responsabili del proprio piano di sviluppo (basic manageriali aggiornati, on-demand, soluzioni blended, programmi di coaching personalizzato);
• orientarsi sempre più verso modelli e soluzioni formative di tipo ‘euristico’, o esplorativo, adatti a comprendere il cambiamento, risolvere problemi, innovare.
Da ultimo, un dato particolarmente interessante – anche per quanto ci riguarda in prima persona – emerge dal grado di soddisfazione verso i fornitori di formazione: al primo posto, con il 67% dei consensi, troviamo le società di consulenza, seguite dai liberi professionisti (63%). Molto più distaccati si posizionano poi i Centri di Formazione, seguiti dalle Business School Italiane, dalle Università Italiane e da altre realtà di formazione. Questo dato, a nostro giudizio, è particolarmente significativo e rispecchia il grande potenziale che le società che coniugano i servizi di formazione a quelli di consulenza possono esprimere in ambito formativo, sotto tutti i profili di interesse e di miglioramento evidenziati nella ricerca: predisposizione all’analisi dei bisogni del committente, capacità e mezzi per intervenire sulla cultura organizzativa del cliente, capacità di sviluppare progetti e soluzioni personalizzate di formazione proprio in virtù della conoscenza privilegiata derivante dal rapporto consulenziale, capacità di implementare soluzioni tecnologiche e a distanza coniugate ad attività di coaching mirate, grazie alla integrazione con l’attività di consulenza.

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